lunedì 3 agosto 2015

Ritratto di Giuliana Lojodice

Il 12 aprile su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli

e l'intervista di Antonio Gnoli

a Giuliana Lojodice






Giuliana Lojodice: "Aroldo, Luchino e gli altri uomini sul palcoscenico della mia vita"
L'attrice e doppiatrice si racconta: "Marcello Mastroianni. Una delle persone più dirette e semplici che io abbia conosciuto. Mi chiese di andare con lui a una cena con Barbra Streisand: "È una tigre, me se magna" "

di ANTONIO GNOLI
Benché fosse una donna di liberi costumi, scoprì improvvisamente la fedeltà e l'amore e per 40 anni dimenticò cosa era stata prima. In fondo la vita bella e inquieta di Giuliana Lojodice si potrebbe racchiudere in queste poche righe. Quasi un romanzetto, verrebbe da dire. "Non mi sono mai vergognata di me, delle mie fantasie verso uomini più grandi. Sostituivano quel padre che avevo avuto, certo,
ma non all'altezza dei miei sogni migliori". Trasmette ancora una grande energia questa donna che mi riceve nella sua casa romana in una giornata di sballata primavera, tanto il freddo e la tramontana tormentano il nostro pomeriggio. Nel lungo racconto accade che Giuliana ruggisca. Se deve sottolineare un dettaglio, una delusione, un tormento, un'ingiustizia la voce le si trasforma. Le parole diventano rauche. Come se entrando in un bosco, si perdessero nel fogliame della paura o della rabbia.

Quale tra i due sentimenti ha contato di più nella sua vita?
"La paura non è mai stata una componente. Fin da giovane sapevo che ce l'avrei fatta. Che dovevo combattere, ma sarei riuscita. La rabbia qualche volta l'ho provata. Come un'aria calda che mi riempiva la testa e della quale dovevo liberarmi. Dopo, tutta arrossata, mi capitava di sentirmi ridicola. Ho imparato a contenermi. La calma è subentrata dopo la morte di Aroldo. La calma ma non la serenità".

Aroldo Tieri è stato a lungo il suo compagno. Formaste una delle coppie celebri del teatro italiano.
"Ci piaceva lavorare in questa casa non grande, accogliente. In stanze diverse a leggere e studiare e poi uniti per confrontarci. Avanti così per quarant'anni".

Faceva già teatro quando lo ha conosciuto?
"Ho iniziato giovanissima. Praticamente andai fuori di casa a 15 anni. Nessuna voglia di studiare. Il liceo fu un tormento. Lo spettacolo una via di fuga. La mamma spedì me e mia sorella a una scuola di danza. Col tempo Leda sarebbe diventata una grande ballerina. Una étoile. Io presi casualmente la strada del teatro e del cinema".

Che accadde?
"La maestra di danza mi presentò a Valerio Zurlini. Preparava un film e cercava una giovanissima interprete. Feci il provino e poi non seppi più nulla. Qualche tempo dopo appresi che il film non si faceva più. Restava una sensazione strana. Più che di delusione di ansia. Sentivo di essere stregata da quell'uomo malinconico. Appartato. Per bene. Più grande. Fu la mia prima cotta. Ne seguirono altre. A vent'anni sposai un attore. Ero già stata inghiottita dal teatro. L'accademia. Interrotta quando Luchino Visconti, dopo un provino, mi prese. La prima tournée. Mia madre in ansia. Mio padre in Messico. Ma che combinerà questa figlia inquieta?".

Aveva risposte da dare?
"Avevo cose da fare. Papà era un avvocato. La mamma un'insegnante con il mito delle borgate. Donna forte. In casa vigeva una specie di matriarcato. La mattina presto partiva per le sue adorate periferie. Le realtà estreme che Pasolini avrebbe raccontato. In una di esse conobbe Pietro Citati, anche lui insegnante di italiano. Ero fuori da quel mondo. Ero fuori da tutto".

Come fu l'impatto con Visconti?
"Apparentemente atterraggio morbido. Sapeva conquistarti dall'alto della sua genialità. Lo snob. L'esteta. Il comunista. Ma al tempo stesso aveva una punta di cattiveria che poteva essere devastante. Anni dopo il mio esordio assistetti al licenziamento in tronco di due attori. Non c'era un'apparente ragione, se non il fatto che Luchino aveva deciso così. Anni dopo uno dei due si suicidò. Si chiamava Antonio Battistella. Restai sconvolta. Antonio non parlò mai di quell'allontanamento. Di quella ferita che continuò a sanguinare".

Quanto conta il riconoscimento e il successo per un attore?
"È una parte fondamentale. Ma non dice nulla circa la bravura e il talento. Dice molto sulle nostre debolezze e fragilità. Siamo così. Animali da palcoscenico. Fiutiamo i terremoti prima degli altri".

C'è un'attrice cui avrebbe voluto somigliare?
"Una certamente fu Sarah Ferrati. Magnifica. Il suo fascino e la determinazione la protessero da tutti coloro che l'avrebbero voluta guidare sul palcoscenico. Sapeva essere scostante e antipatica. Ho un debole per il lato meno sdolcinato delle persone. Anche a teatro amo le parti urticanti, sgradevoli, ruvide".

Offre un'idea dura di sé.
"Siamo teatranti, ossia creature sfaccettate. La parte accattivante l'ho data alla televisione. Quella storica degli anni sessanta: sceneggiati, alcuni bellissimi con registi e attori meravigliosi. Perfino un Sanremo. Affiancai Mike Bongiorno. Era il 1964. Voleva relegarmi al ruolo di valletta. I patti erano diversi. Minacciai di andarmene. Mike, alla fine, ingoiò il rospo. Quell'anno, per la prima volta, furono ammessi i cantanti stranieri. Vinse la Cinquetti con Non ho l'età. Io avevo 24 anni".

Sanremo era la consacrazione.
"Era il successo facile. Ma anche un moltiplicatore di occasioni. Fu dopo il Festival che Garinei e Giovannini mi proposero Ciao, Rudy con Marcello Mastroianni. Eravamo 13 donne attorno a questo maschio bellissimo. La preparazione fu spossante. Tutte le mattine Martha Graham ci preparava alla danza. Debuttammo nel gennaio del 1966. Marcello era famoso. Alla prima era presente tutto il cinema internazionale".

Com'era Mastroianni fuori dal palcoscenico?
"Uno degli uomini più semplici e diretti che abbia conosciuto. Una sera mi invitò a cena. Mi telefonò: a Giulià famme un favore, parlava spesso in romanesco, devo uscì con Barbra Streisand. E io che c'entro? Gli dissi. E lui: è una tigre, quella me se magna. Me fa paura. Alla fine uscimmo in tre. Marcello ci portò dal "Pallaro", una trattoria tipica romana e fu una serata piacevole. La Streisand indossava un turbante che le metteva in risalto il profilo importante. Aveva avuto da poco un figlio da Elliot Gould. Marcello sembrava un gattone. Parlammo del successo incredibile di Ciao, Rudy. Per vederlo recitare scaricavano davanti al Sistina i pullman di giapponesi e americani. Era la Roma by night. Ma nessuno in quel momento poteva prevedere il finale di quella storia".

Cosa successe?
"A un certo punto Marcello ruppe il contratto. Non si seppe mai la ragione vera. Ciao, Rudy sbarcava a Broadway, complice la stessa Streisand. Forse, come si disse, il richiamo della foresta fu più forte: Fellini gli propose di girare Il viaggio di Mastorna. Marcello salutò la compagnia e pagò una penale di 120 milioni di lire di allora. La cosa incredibile è che Fellini non girò il film e Marcello si trovò indebitato fino al collo".

Sciolta la compagnia che cosa fece?
"Avevo già un marito, Mario Chiocchio, due figli e la sensazione che quel legame nato soprattutto per attrazione fisica si fosse esaurito. Quello stesso anno, il 1966, a Siracusa, conobbi Tieri. C'eravamo già incontrati. Ma questa volta c'era il teatro. Recitavamo Antigone. Aroldo era Creonte. Io Ismene. Cominciò una corte serrata. Non mi mollò un momento. Vedevo in lui l'eleganza e la determinazione. Mi affascinava il suo modo di recitare".

E lei cedette?
"Cedetti in camerino dove venne a trovarmi. Gli dissi: non pensare che sia una storiella passeggera. E lui: pensa quello che vuoi ma pensa soprattutto che sei sposata".

Non era facile in quegli anni fare gli amanti.
"Ci incontravamo segretamente. Fino a quando mio marito non scoprì tutto. Successe il finimondo. Una sera trovammo Mario sotto casa di Aroldo. Cominciò a minacciare: ti mando i carabinieri se non la lasci in pace! Furono mesi terribili. Di pianti e di ricatti. Di disperazione vera. Alla fine mio marito si convinse a poco a poco che la nostra storia non c'era più. Divenne ragionevole".

Che cosa l'ha colpita di Tieri?
"Mi dava quella sicurezza che sbandieravo e che non ho mai avuto veramente. Da quel momento e nei successivi quarant'anni della nostra storia non ho mai più pensato agli altri uomini. Per me è stato l'unico".

Professionalmente fu un caso singolare.
"In che senso?".

Tieri ha fatto molto cinema commerciale. È stata una magnifica spalla di Totò...
"Non avrebbe tollerato di sentirsi definire "spalla". Diceva: io interpreto un personaggio. E Totò, che lo adorava, lo volle spesso con sé. Apprezzava di Aroldo il fatto che pur essendo un grande attore di teatro non mostrasse nessun disprezzo per quel cinema che lei definisce "commerciale" ".

Cosa ha voluto dire essere una coppia teatrale?
"Ha significato una simbiosi perfetta. Pur nella diversità dei caratteri, io mondana e lui refrattario alla socialità, abbiamo costituito l'esempio di un bellissimo lavoro in comune".

Ci sono state altre coppie famose: Paolo Stoppa e Rina Morelli.
"Che le devo dire: non mi piaceva Paolo Stoppa. Aveva una voce insopportabile. Sempre uguale. Un uomo monotono e rabbioso. Mentre Rina era la vera rivelazione. L'anima di quella coppia. Recitava con l'aria apparentemente dimessa che aveva secondo me preso da Ludmilla Pitoëff, la grande attrice francese".

Ci sono altre attrici che l'hanno affascinata?
"Mariangela Melato. Per lei ammirazione e invidia. Vederla recitare era un'emozione. Sapeva essere diversa da tutte le altre. Moderna, come poche. Ricordo una sua interpretazione straordinaria in Makropulos con la regia di Luca Ronconi. Sul mito dell'eterna giovinezza".

Con Ronconi ha lavorato?
"Da giovane, con Luca che faceva l'attore. Poi mi ha diretta in un'opera di Henry James, una decina di anni fa. Interpretavo il ruolo di una governante. Fu lì che per la prima volta lavorai con la Melato. Cosa dire di Luca? Un genio anaffettivo. Capace di destrutturare un attore e ricomporlo come voleva lui. Nessuno ha saputo insegnarmi a scalpellare le parole, a renderle essenziali, come è riuscito a fare lui. Posso dire che Luca, Giancarlo Sepe e Aroldo mi hanno fatto capire, in modi diversi, la profondità del teatro".

Quanto la ossessiona la presenza o la mancanza di Tieri?
"Di lui mi manca tutto. Perfino la fatica terribile degli ultimi anni. A causa di un glaucoma era diventato cieco. Quasi impazzì. Non sopportava che mi allontanassi da lui. Era diventato un problema anche andare a fare la spesa. Se ero dal parrucchiere, immediatamente chiamava per verificare che io fossi lì. Non sopportava più nessuno. Non voleva infermiere intorno. Men che meno che vedessi gente. Non aveva mai confessato la sua gelosia. La prima volta che si manifestò fu quando con Umberto Orsini e Massimo Popolizio interpretammo Copenaghen. Aroldo cominciò ad essere geloso di Umberto. Ma allora non immaginavo che quella gelosia sarebbe esplosa incontrollata negli ultimi tempi".

Lei come reagì?
"Ero paralizzata. Sentivo le cose precipitare e non c'era verso per arginarle. Poi la notte. In piena notte si svegliava. Gridando Giuliana! Giuliana! Accorrevo per calmarlo. Credo di sapere cosa significa esalare l'ultimo respiro. La morte di Aroldo, il prossimo anno sarà il decennale, mi ha trasmesso una strana calma. Una distanza dalle cose che ho cercato di colmare con la fede. Non amo i preti. Sono come gli attori. Pochi bravi e affascinanti. Ma per lo più modesti e noiosi. Alla fine, presa da un bisogno di capire, sono andata in pellegrinaggio a Lourdes. Ci sono tornata per ben tre volte".

Cosa vi ha trovato?
"Viaggiare su quel treno, per oltre venti ore, la prima volta mi sconcertò. Non capivo in mezzo a tutte quelle persone quale fosse il confine tra il mondo della speranza e il mondo onirico".

Forse non c'era.
"Forse. Ma in seguito ho avuto la sensazione che Lourdes non fosse affatto il luogo del dolore. Ma della grazia. Ed è una sensazione che si percepisce solo standoci dentro. Ogni volta che ho intrapreso quel viaggio volevo che Aroldo continuasse a vivere, a parlarmi. È strano il nostro rapporto con le persone che ci sono state care. Certe volte provo a immaginare cosa sarebbe la mia vita senza il suo ricordo. Il mio terrore è di poterlo un giorno dimenticare ".


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