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venerdì 27 gennaio 2023

Giornata della memoria 2023




#Atlantide #giornatadellamemoria #edithbruck 

 Per Edith. 

Mauro Biani





Per #Atlantide @La7tv

per la #GiornatadellaMemoria un documentario esclusivo – presentato da Andrea Purgatori- dal titolo “Edith”. La storia della scrittrice e poetessa sopravvissuta all’olocausto e alla deportazione nei campi di concentramento #EdithBruck

Mauro Biani




Edith Bruck e la memoria: "Il nostro grido ci sopravviverà"

La poetessa non concorda con Segre: non finisce tutto con noi

  Anni e anni di ricordi, racconti, diari, libri, in poche parole testimonianze: Liliana Segre avanza negli anni e con lei avanza anche un intimo timore, quello dell'oblio.

Non tanto sulle singole vite, sulle tragiche storie personali, quanto sulla capacità stessa delle nuove generazioni di tenere vivo il ricordo della Shoah, della guerra, delle vittime dell'olocausto.

Un approccio contestato da Edith Bruck, scrittrice e poetessa di origini ungheresi naturalizzata italiana, sopravvissuta all'olocausto e alla deportazione nei campi di Auschwitz, Dachau e Bergen- Belsen.

    "Ho sentito Liliana quando ha detto che con noi finisce tutto, che non ha speranza che rimanga molto della memoria e mi è dispiaciuto molto sentire questa cosa. Io credo che resti qualcosa, che la nostra testimonianza, i nostri libri, i nostri versi, il nostro gridare, i nostri pianti non siano stati inutili. Non per noi, ma proprio per i giovani, per il futuro dei giovani, per un mondo minimamente migliore, sarebbe molto grave se fosse stato vano tutto quello che abbiamo detto, tutto quello che abbiamo scritto e tutto quello che è successo, se sarà dimenticato. Io spero che resti qualcosa" dice la scrittrice intervistata da Sky Tg 24.

    E proprio l'intellettuale ungherese è anche al centro di un documentario esclusivo realizzato da Andrea Purgatori con 3D Produzioni in collaborazione con n La7 in occasione della Giornata della Memoria, proprio per non dimenticare gli orrori della Shoah. Si apre con Edith Bruck intenta a guardare un vecchio documentario ungherese, "A Látogatas", che in italiano significa "La visita". È lei sullo schermo, più giovane, nel 1982, tornata in Ungheria per rivedere la casa dove è nata e dove venne catturata. Attraverso queste immagini, inedite in Italia, compare il ritratto di una donna capace di continuare a vivere e amare e che non tralascia nulla della sua storia: dal Lager all'amore infinito per il poeta Nelo Risi, fino alla scrittura che le ha permesso di continuare a vivere. Tutto disegnato alla luce dell'oggi, nella casa di Via del Babuino dove abita da 62 anni, circondata dai colori e dai rumori della Roma "eterna", come la definisce Edith, quella che ormai è diventata la sua patria, "tra piazza del Popolo e piazza di Spagna". 

fonte ; https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/2023/01/25/edith-bruck-e-la-memoria-il-nostro-grido-ci-sopravvivera_683e74a9-987b-461e-8c73-4a09e1fae0e4.html




#Giornodellamemoria

Quella riga sia memoria viva.

Oggi su la Repubblica

Mauro Biani


Generazioni, per non dimenticare, mai !!
Paolo Lombardi



Domani non è per tutti

Tiziano Riverso


International #Holocaust #RemembranceDay. We have to learn from the #history. 78 years ago, on January 27, 1945. #RedArmy entered Nazi #ConcentrationCamps in #Auschwitz..

27 Ocak Uluslararası Dünya Holokost’u Anma Günü. Bizde Dünya utanç günü de deniyor. 78 yıl önce, 27 ocak 1945'de #KızılOrdu Nazi #ToplamaKampı #Auschwitz 'e girdiğinde karşılaştığı manzara bugün de tarihte olanı unutmamamız için vesile olsun..
Firuz Kutal

Memoria

Oggi su @ilmanifesto

Lele Corvi

#memoria #giornatamemoria #nondimentichiamo #ilmanifesto #lelecorvi


Memoria

Memory

#memory #memorialday #giornatadellamemoria #Shoah #razzismo #Jews #memoria #CartooningForPeace #courrierinternational #repubblicaxl #LaRepubblica #pagina21 #vignettistiperlacostituzione

Marco De Angelis




GIORNO DELLA MEMORIA 2023

Gianfranco Uber



Il filo della memoria

GIO / Mariagrazia Quaranta



by Roby Il Pettirosso




Per non dimenticare #GiornatadellaMemoria #Giornodellamemoria2023 #27gennaio

Durando




#ZyklonB #Zyklon #Shoah #27gennaio #Giornodellamemoria #olocausto #Auschwitz #Binario21 #pernondimenticare #IChinson #satira #satiraneurodeficiente #vignette
Mario Airaghi



Bambini col pigiama a righe

Giannelli




Giorno della Memoria.

Milo Manara


Giorno della memoria 2023. Per @sputnink_
Nicocomix 
#giornodellamemoria #olocausto


Giornata della Memoria 2023. Ecco il mio disegno per il 27 gennaio. "Memoria di libertà" by ©️Chenzo, www.chenzoart.it #giornatadellamemoria #Shoah #olocausto #MemoriaStorica #ebrei #disegni #vignette #27gennaio #chenzo

 Lorenzo Bolzani - Chenzo.



Il Giorno della Memoria.

Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche della 60ª Armata arrivarono presso la città polacca di Auschwitz, scoprendo il vicino campo di concentramento e liberandone i superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazista.

Ad Auschwitz, circa dieci giorni prima, i nazisti si erano ritirati portando con loro, in una marcia della morte, tutti i prigionieri sani, molti dei quali morirono durante la marcia stessa.

L’apertura dei cancelli di #Auschwitz mostrò al mondo intero non solo molti testimoni della tragedia, ma anche gli strumenti di tortura e di annientamento utilizzati in quel lager nazista. (fonte Wikipedia)

#ilgiornodellamemoria #olocausto 

Tartarotti



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-AUSCHWITZ, IN POSA PER MORIRE

di Alessandro Melazzini

Il fotografo polacco Wilhelm Brasse rifiutò di battersi per Hitler e fu internato nel lager. La sua professione lo salvò, ma fu obbligato a scatti atroci. Oggi racconta l'impotenza di allora - «Una volta venne un marinaio con tatuato il paradiso. Tempo dopo vidi la sua pelle conciata, serviva per coprire un libro» 

Ha guardato negli occhi la morte. L'ha fatto per cinquantamila volte. Avvene quando era giovane. Ora Wilhelm Brasse è un anziano signore dal sorriso affettuoso e i modi gentili. Mi accoglie sulla soglia della sua modesta casetta nei pressi della cittadina polacca di Zywiec. Un tempo questa era la regione della Slesia, dove ebrei, polacchi e tedeschi convivevano in un intreccio pacifico di lingue e culture sotto la dinastia degli Asburgo. Wilhelm nacque loro suddito nel dicembre di 92 anni fa. Poi venne la grande crisi del '29, il padre perse il lavoro e suo figlio non poté finire il ginnasio. La madre lo iscrisse a un corso di fotografia e senza saperlo gli salvò la vita. Nel 1939 la Germania invase la Polonia e Wilhelm dovette compiere una scelta fatale. Diventare cittadino del Terzo Reich o rimanere polacco. Optò per la sua patria e cominciarono le vessazioni. Tentò allora la fuga attraverso il confine con l'Ucraina, ma venne tradito e consegnato ai nazisti. Era la Pasqua del 1940. Passarono quattro mesi di cella, poi dai soldati tedeschi venne un'ultima possibilità. Arruolarsi nella Wehrmacht o essere trasferito in una prigione sconosciuta. Wilhelm scelse di non combattere per le armate di Hitler e nella notte un treno lo portò ad Auschwitz.

«Picchiandoci con urla selvagge i kapò e le SS ci fecero scendere, ci tolsero i vestiti e ci diedero una divisa a strisce. Da quel giorno diventai un numero, il 3444». Quando Wilhelm arrivò nel lager tutto era ancora in costruzione, ma sul piazzale dell'appello il vicecomandante Karl Fritzsch chiarì subito ai prigionieri cosa li aspettava. «Questo non è un sanatorio. Questo è un campo di concentramento. Qui un ebreo vive due settimane, un pretaccio dura un mese, gli altri prigionieri tre». Aveva detto la verità. «All'inizio venni assegnato al comando costruzione strade. Il primo giorno il kapò uccise con un bastone 4 o 5 prigionieri senza motivo. Era così violento che cercai un altro lavoro». Agli inizi nel lager era ancora possibile muoversi con una certa libertà. «Chiesero se qualcuno voleva un'occupazione leggera con cibo extra, io mi presentai subito. Venni assegnato al trasporto cadaveri. Trascinavo un carretto pieno di salme fino al crematorio. Il lavoro era facile, ma non ce la feci a resistere, cambiai ancora finendo in un comando guidato da un kapò tedesco che finalmente non urlava né picchiava». 

Brasse ancora oggi ricorda tutti i nomi delle persone conosciute nel lager. Il kapò si chiamava Markus e portava un triangolo nero sulla divisa: per i nazisti era un «asociale». Perso il lavoro si era arruolato dieci anni nella legione straniera, tornato in patria venne subito arrestato. «Gli feci da traduttore, poi grazie a lui passai nelle cucine a trasportare pentoloni, infine nel febbraio del '41 superai una prova come fotografo e venni assegnato al reparto di polizia». 

Da quel momento e per quattro anni Wilhelm fotografò migliaia di deportati come lui. Per ognuno tre scatti, di fronte, di lato e con il cappello. «Ma non i prigionieri con gli occhi pesti o segni di maltrattamento. Quelli dovevano tornare più tardi, anche se quasi tutti venivano uccisi prima». Talvolta accadeva per il semplice diletto di un sorvegliante sadico, come Krankenmann, il detenuto più brutale del campo, che rubava il cibo alle sue vittime dopo averle strangolate con le proprie mani. «Uccideva gli uomini come le mosche. Era grasso come un maiale e si divertiva a sedersi sui prigionieri più magri spezzando loro la colonna vertebrale». Wilhelm fu fortunato, Bernhard Walter, l'SS che comandava il suo reparto, non era un fanatico come gli altri: nelle braccia di Hitler era finito per scampare a un'esistenza da stuccatore disoccupato. Wilhelm poteva vivere al caldo, mentre vedeva i suoi compagni strisciare nella pioggia e nella neve. Ma anche la sua occupazione non lo preservò dagli orrori di Auschwitz. «Un giorno riconobbi nella fila del corridoio alcuni miei vicini di casa ebrei. Diedi loro delle sigarette e un pezzo di pane, anche se era vietato». La voce dell'anziano sopravvissuto s'incrina. «Nel mio gruppo c'era un kapò. Triangolo verde: un comune assassino, ma con lui si poteva parlare. Gli implorai che se doveva ucciderli, almeno lo facesse senza farli soffrire». Il giorno dopo erano tutti morti. «Riesce a capire cosa significa pregare qualcuno perché conceda una morte lieve?» mi chiede Brasse con le lacrime agli occhi. Cosa posso rispondere a un uomo che ha visto l'inferno? Lo prego di raccontarmi ancora.

Ogni giorno fotografava dai 50 ai 150 deportati. Se qualcuno aveva dei tatuaggi, il medico del campo li voleva ripresi nel dettaglio. «Una volta si presentò un marinaio di Danzica. Alto, muscoloso, ben formato. Sulla schiena aveva tatuato il Paradiso con Adamo, Eva e il serpente. In due colori, rosso e blu. Lo ricordo tutt'ora: davvero l'opera di un maestro. Dopo un mese un amico mi chiamò dal crematorio. E cosa vidi? In fondo a un tavolo la pelle della schiena di quello sfortunato, tesa e pronta per essere conciata. A cosa serviva, chiesi scioccato? Per rilegare un libro, fu la risposta». 

Presto a Wilhelm venne ordinato di non fare più foto agli ebrei: secondo la direzione del lager non ne valeva la pena, tanto morivano sempre più in fretta. «Alla fine dell'autunno del 1941 giunsero 11mila prigionieri di guerra russi. Vennero ammazzati in maniera orribile, lasciati congelare nudi nella neve, mentre delle SS con le maschere a gas lavoravano intorno al blocco 11 per isolarlo. Quando tutto fu pronto, vi mandarono dentro i 600 soldati russi sopravvissuti, insieme a 400 malati». Fu il collaudo, perfettamente riuscito, per testare l'efficacia dello Zyklon B. Ma il crematorio di Auschwitz era troppo piccolo per tutti quei cadaveri, così nel vicino lager di Birkenau ne vennero edificati altri due, dotati di camere a gas. Stavano a poca distanza dai binari del treno, così da rendere più comodo l'assassinio di massa. Alcune SS scattarono sequenze fotografiche durante le varie tappe della soluzione finale. L'arrivo del treno, le selezioni, lo spoglio degli averi, la camera a gas, i corpi ridotti in cenere. «Venni incaricato di sviluppare le foto e ordinarle in un album: volevano tenerlo come ricordo».

Uomini, donne e bambini. Brasse doveva riprendere degli indifesi come fossero criminali. «Non dimenticherò mai questa povera ragazzina – mi dice mostrandomi la foto di un'adolescente con un foulard in testa –. Una sorvegliante le ordinò di toglierlo, ma la poveretta non capiva il tedesco. La donna s'infuriò e prese a frustarla sulla faccia. Dio mio, quale crimine poteva avere commesso quella piccolina per meritare un trattamento simile?». A parte i continui insulti, con lui i guardiani nazisti erano generalmente cortesi e talvolta in cambio di propri ritratti da spedire all'amata gli concedevano del cibo extra. Tra le SS più educate, un giovane medico che gli richiese delle riprese speciali. Foto di donne ebree nude. «Fu imbarazzante, pregai le custodi di mettere quelle povere ragazze in posa, io non volevo sfiorarle. Ma rifiutare di fotografarle non mi era concesso, pena la vita. Quando chiesi a cosa servivano quegli scatti, mi dissero: per degli esperimenti». Il dottore si chiamava Josef Mengele. «Per lui fotografai anche vari nani e dei gemelli. Ogni volta che aveva bisogno, me lo chiedeva con la massima gentilezza. Mengele fu la persona più terribile che incontrai. Krankenmann? Quello era una bestia. Ma come poteva Mengele comportarsi così educatamente con me e nello stesso tempo mandare in un sol giorno mille o duemila ebrei nelle camere a gas? Era una doppia natura. Ancora oggi quell'uomo è per me un mistero». 

Altri medici gli ordinavano invece di fotografare ragazzini denutriti o l'utero estratto da donne addormentate col sedativo; per un certo periodo collaborò anche con un disegnatore impegnato a falsificare dollari. Ma la foto più incredibile scattata da Brasse ad Auschwitz ritrae una coppia di sposi. «Le nozze del mio amico Rudi Friemel. Era un meccanico bravissimo. I tedeschi avevano bisogno di lui per riparare i motori diesel e gli concedettero persino di portare i capelli lunghi. Con il permesso di Himmler nella primavera del '44 la sua fidanzata spagnola poté raggiungerlo col figlio ad Auschwitz, e qui sposarsi». Qualche mese più tardi Rudi venne preso durante un tentativo di fuga e impiccato seminudo.

Nel gennaio del 1945 le SS sentirono avvicinarsi l'Armata Rossa. Il capo ordinò a Wilhelm di bruciare tutto, ma questi riuscì a salvare molte foto perché i negativi erano ignifughi. Pochi giorni prima della liberazione lo trasportarono prima a Mauthausen, poi nel lager austriaco di Melk. «Il paesaggio era bellissimo, vicino al Danubio. Producevano cuscinetti a sfera in una fabbrica sotterranea ma io dovetti lavorare con pala e badile all'aperto. Dopo due mesi ero ridotto a pelle e ossa. Fu allora che, distrutto, maledii mia madre per avermi partorito». 

Nuovamente le lacrime scorrono sul viso di questo vecchio sopravvissuto all'orrore. «Invece gli americani mi liberarono. Ancora oggi mi pento di quello che dissi contro mia mamma».

(Il Sole 24 Ore – Domenica 24 giugno 2009 n. 162)

POST SCRIPTUM di Ivano Sartori 

È probabile che riusciate a leggere questo pezzo, ma non vediate qualcuna delle foto che lo corredano. La censura Facebook è tale da ignorare le verità della storia. Ed è un peccato, considerato che Mark Zuckerber discende da una famiglia di origine ebraica. Comunque vada, gli algoritmi kapò non potranno eliminare la testimonianza scritta, molto più potente di qualsiasi immagine.




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venerdì 15 giugno 2012

Donna: essere umano non ancora sviluppato?!

Importante articolo di Nadia Redoglia:


Donna: essere umano non ancora sviluppato?! 
di Nadia Redoglia
 Oggi la fo un po’ lunga, ma confido ne valga la (vostra e mia) “pena”… Nel gennaio 2012 un giudice tutelare (adito a potere -non dovere- d’autorizzare la donna minorenne a decidere l’interruzione di gravidanza ex art. 12 L. 194/78, con atto non soggetto a impugnazione) è ricorso, in un caso specifico, alla Consulta affinché si pronunciasse in merito all’incostituzionalità della legge in particolar modo rivolta ai costituzionali artt. 2 (diritti inviolabili dell’uomo) e 32 (tutela della salute). La Corte deciderà il 20 giugno. Come primissima riflessione ci par d’obbligo chiederci che n’è stato di quella donna, visto che da gennaio a oggi sono ampiamente trascorsi i 90 gg. entro i quali poteva esercitare il suo buon diritto ex art. 4 della 194: è stata “costretta” a proseguire la sua gravidanza, nonostante questa comportasse serio pericolo per la sua salute fisica o psichica (già stabilito a monte dagli organi preposti e dunque prima dell’intervento del giudice tutelare)? Il magistrato ha posto il quesito alla Consulta avvalendosi pure di sentenza della Corte Europea. Vediamola: questa verteva non già sull’interruzione volontaria di gravidanza, bensì sulla pretesa (poi bocciata) a brevettare un farmaco (contro il morbo di Parkinson) ricavato da staminali embrionali. Ciò comportava la “distruzione” d’embrioni. A tal fine e in quel senso la Corte di giustizia UE, intervenendo sulla natura di “embrione umano” pronunciò: “sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un embrione umano, dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano”. Ed è proprio in virtù dei costituzionali 2 e 32 (la sentenza europea c’entra come i cavoli per merenda e quelli sotto cui si spacciano le nascite) che a questo punto ci sembra il minimo chiedere: chi, se non il magistrato, dovrebbe (pre)occuparsi di tutelare gli inviolabili diritti, alla salute compresi, dell’essere umano non solo già sviluppato, ma a tutti gli effetti dichiarato ufficialmente Persona (date le premesse del caso in oggetto, il fatto che si tratti di minorenne è irrilevante)? A scanso di fraintendimenti è bene ricordare che la tutela del diritto alla salute è ormai intesa, secondo la definizione dell’OMS, come uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale, e non come una semplice assenza di malattia. Sarebbe valsa la pena meditare prima su questo fatto già sentenziato e passato in giudicato piuttosto di altro ancora in iniziale fase processuale.
 8 giugno 2012


Nota: Il disegno  è di Mauro Biani qui la fonte

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Links:
*Aborto, all'esame della Corte Costituzionale la legge 194
* Chi sarà più persona per la Corte Costituzionale: la donna o il suo uovo?
* #save 194
* Legge 194: tam tam con un hashtag su Twitter a difesa del diritto all’aborto/11/06/12

giovedì 31 maggio 2012

Il corvo del Vaticano

... preso il "corvo" del Vaticano... 

Marilena Nardi





"Confermo che la persona arrestata mercoledì sera per possesso illecito di documenti riservati, è il signor Paolo Gabriele, che rimane tuttora in stato di detenzione".
 Il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi.


 La verità ...
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Maggiordomi
Il corvo su un piatto d’argento.

 pop con Nero Wolfe
Mauro Biani


Conclusiva direi - Mauro Biani

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Marco De Angelis



BATTISTA IL MAGGIORDOMO
 Nonostante si sia già trovato il colpevole nella figura del maggiordomo (soluzione che più canonica di così non si può) resta ancora molto oscura la vicenda dei documenti trafugati in Vaticano. E probabilmente resta anche molto amaro in bocca ai fedeli per la triste deriva terrena del messaggio Cristiano.
Gianfranco Uber

VATILEAKS SCANDAL
Gianfranco Uber
Arrested the Pope's Butler for illegally possession of secret and reserved documents.
30 May 2012
[Dietro il furto del maggiordomo del Papa non sembra esserci solo una semplice e squallida vicenda di furto di documenti riservati bensì una sottile lotta per il potere.
Il vero obbiettivo della manovra sembra essere l'attuale Segretario di Stato Cardinale Bertone
a cui, sembra una larga fazione dell'alta gerarchia militare rimprovera una politica un po' troppo "terrena".
(CARTOONMOVEMENT)]


Giannelli http://www.corriere.it/foto_del_giorno/giannelli/index_201105.shtml





Giannelli http://www.corriere.it/foto_del_giorno/giannelli/index_201105.shtml



chiedilo a loro, le sanno tutte
fabiomagnasciutti


zerozerosetta
fabiomagnasciutti







KHAMARD





Qualcuno volò sul nido del cuculo
Paolo Lombardi


mariobochicchio


Tomas



Tomas




Nico Pillinini





Giorgio Forattini



Vaticanleaks
Paride Puglia






Matteo Bertelli

 
ILLAZIONIAMO ...
 Joseph cerca di salvare la faccia, ma senza essere troppo credibile.
 E del resto, non lo è mai stato più di tanto.
Roberto Mangosi


Marilena Nardi



Aggiornato il 09/01/2023

È morto Paolo Gabriele, il maggiordomo infedele di Benedetto XVI aveva 54 anni: fu lui a far scoppiare lo scandalo Vatileaks 1

Nel 2012, il laico più vicino al Papa tedesco, si rese protagonista dello scandalo rubando documenti privati di Ratzinger e divulgandoli ai giornalisti. Per questo motivo fu condannato dal Tribunale vaticano a tre anni di reclusione, ridotti a diciotto mesi

di Francesco Antonio Grana | 24 NOVEMBRE 2020

È morto a 54 anni Paolo Gabriele, il maggiordomo infedele di Benedetto XVI. Nel 2012, il laico più vicino al Papa tedesco, si rese protagonista dello scandalo Vatileaks 1 rubando documenti privati di Ratzinger e divulgandoli ai giornalisti. Per questo motivo fu condannato dal Tribunale vaticano a tre anni di reclusione, ridotti a diciotto mesi, “per aver egli operato, con abuso della fiducia derivante dalle relazioni di ufficio connesse alla sua prestazione d’opera, la sottrazione di cose che in ragione di tali relazioni erano lasciate od esposte alla fede dello stesso”. La difesa di Gabriele rinunciò a fare appello e, alla vigilia del Natale 2012, Benedetto XVI lo andò a trovare nella cella della Gendarmeria Vaticana dove era detenuto da alcuni mesi “per confermargli il proprio perdono – come precisò la Santa Sede – e per comunicargli di persona di avere accolto la sua domanda di grazia, condonando la pena a lui inflitta. Si è trattato di un gesto paterno verso una persona con cui il Papa ha condiviso per alcuni anni una quotidiana familiarità”. Un segno che ricordò quello compiuto da San Giovanni Paolo II che, durante il periodo natalizio del 1983, due anni dopo l’attentato, andò a visitare a Rebibbia Alì Agca, il membro dei Lupi Grigi che gli aveva sparato il 13 maggio 1981 in piazza San Pietro.

Dopo la scarcerazione e la grazia, il Vaticano precisò che benché Gabriele “non possa riprendere il precedente lavoro e continuare a risiedere in Vaticano, la Santa Sede, confidando nella sincerità del ravvedimento manifestato, intende offrirgli la possibilità di riprendere con serenità la vita insieme alla sua famiglia”. Negli anni successivi alla condanna, infatti, l’ex maggiordomo di Ratzinger è rimasto comunque a lavorare in strutture collegate alla Santa Sede, ciò per assicurare il sostentamento necessario anche alla moglie e ai figli. Del resto, dall’arresto fino alla sentenza l’ex maggiordomo aveva continuato sempre a ricevere lo stipendio. Quando la Gendarmeria Vaticana entrò nella sua abitazione all’interno del piccolo Stato, furono trovati centinaia di migliaia di testi e documenti. Ben 82 scatoloni nascosti negli armadi contenenti oltre mille documenti riservati del Papa, tra cui testi cifrati spediti alle nunziature apostoliche di tutto il mondo su questioni internazionali molto delicate. C’erano anche numerose carte sulle quali Benedetto XVI aveva scritto di suo pugno “zu vernichten”, da distruggere, e che, invece, Gabriele si era portato a casa. Ma anche lettere e foto riguardanti la vita privata di Ratzinger e perfino le sue analisi mediche. Il maggiordomo aveva iniziato il suo lavoro con Benedetto XVI nel 2006, appena un anno dopo la sua elezione, e aveva cominciato subito a portare via documenti dall’appartamento pontificio.

Sullo scandalo Vatileaks 1, Ratzinger chiese a tre “cardinali 007”, Jozef Tomko, Julian Herranz e Salvatore De Giorgi, di indagare per far luce su chi aveva armato la mano di Gabriele. Durante il processo, infatti, l’ex maggiordomo del Papa tedesco aveva sempre affermato: “Se lo devo ripetere, non mi sento un ladro”. Ammettendo, però, di sentirsi responsabile di aver “tradito la fiducia” di Benedetto XVI. “La cosa che sento forte dentro di me – disse l’ex maggiordomo ai magistrati – è la convinzione di avere agito per amore esclusivo, direi viscerale, per la Chiesa di Cristo e per il capo visibile”, ovvero il Papa. Il dossier redatto dai tre porporati fu completato e consegnato a Benedetto XVI negli ultimi giorni del suo pontificato. E nel loro primo incontro, a Castel Gandolfo, pochi giorni dopo l’elezione di Francesco, Ratzinger lo consegnò a Bergoglio. Di questo dossier il Papa latinoamericano ne ha parlato proprio recentemente raccontando che “all’inizio del mio pontificato andai a trovare Benedetto. Nel passare le consegne mi diede una scatola grande. ‘Qui dentro c’è tutto, – disse – ci sono gli atti con le situazioni più difficili, io sono arrivato fino a qua, sono intervenuto in questa situazione, ho allontanato queste persone e adesso tocca a te’. Ecco, io non ho fatto altro che raccogliere il testimone di Papa Benedetto, ho continuato la sua opera”.

Eppure, all’epoca della sentenza, un comunicato della Segreteria di Stato negò tutte le ipotesi complottistiche sulla vicenda: “Il dibattimento ha potuto accertare i fatti, appurando che il Sig. Gabriele ha messo in atto il suo progetto criminoso senza istigazione o incitamento da parte di altri, ma basandosi su convinzioni personali in nessun modo condivisibili. Le varie congetture circa l’esistenza di complotti o il coinvolgimento di più persone si sono rivelate, alla luce della sentenza, infondate”. Per la Segreteria di Stato, allora guidata dal cardinale Tarcisio Bertone, “la sentenza del processo contro Paolo Gabriele, ora passata in giudicato, mette un punto fermo su di una vicenda triste, che ha avuto conseguenze molto dolorose. È stata recata un’offesa personale al Santo Padre, si è violato il diritto alla riservatezza di molte persone che a lui si erano rivolte in ragione del proprio ufficio, si è creato pregiudizio alla Santa Sede e a diverse sue istituzioni, si è posto ostacolo alle comunicazioni tra i vescovi del mondo e la Santa Sede e causato scandalo alla comunità dei fedeli. Infine, per un periodo di parecchi mesi è stata turbata la serenità della comunità di lavoro quotidianamente al servizio del successore di Pietro. L’imputato è stato riconosciuto colpevole al termine di un procedimento giudiziario che si è svolto con trasparenza, equanimità, nel pieno rispetto del diritto alla difesa”.

Evidentemente, però, le conclusioni dei tre “cardinali 007” di Benedetto XVI hanno allargato e di molto lo spettro della vicenda se Francesco, proprio parlando di Vatileaks 1, ha recentemente affermato che la cosiddetta questione morale nei sacri palazzi è un “male antico che si tramanda e si trasforma nei secoli”, ma che ogni Pontefice ha cercato di debellare. “Purtroppo la corruzione – ha aggiunto il Papa – è una storia ciclica, si ripete, poi arriva qualcuno che pulisce e rassetta, ma poi si ricomincia in attesa che arrivi qualcun altro a metter fine a questa degenerazione”. Aggiungendo che “la Chiesa è e resta forte, ma il tema della corruzione è un problema profondo, che si perde nei secoli”.

fonte : https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/24/e-morto-paolo-gabriele-il-maggiordomo-infedele-di-benedetto-xvi-aveva-54-anni-fu-lui-a-far-scoppiare-lo-scandalo-vatileaks-1/6014651/