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sabato 9 marzo 2024

8 marzo 2024

 

La ragazza con la goccia di sangue

GIO / Mariagrazia Quaranta 




#8marzo - Per tutte le volte in cui qualcuno ha anche solo pensato di poterci

sgualcire,

comprare,

svendere,

dimenticare,

stritolare,

devastare,

dare per scontate,

buttare,

lasciare a marcire,

portarci ad urlare, piangere, tacere.

Per tutte le volte in cui qualcuna più in piedi non si è rialzata,

anche se avrebbe voluto

e con tutte le forze per farlo ha lottato.


Per non scordarci di nessuna, in questo 8 marzo sempre più difficile da “festeggiare”.

Marianna Balducci




FESTA DELLA DONNA 2024

AUGURI A TUTTE

(e in particolare alla Presidente Meloni)

Gianfranco Uber




"Honor Women, Every Day and to Infinity." Tip the world over on its side, and #March8 #InternationalWomensDay becomes infinity! #CelebrateWomenEveryDay. According to the United Nations, "Gender equality is not only a fundamental human right, but a necessary foundation for a peaceful, prosperous and sustainable world. There has been progress over the last decades, but the world is not on track to achieve gender equality by 2030. Women and girls represent half of the world’s population and therefore also half of its potential. But gender inequality persists everywhere and stagnates social progress..." Digital art, part of #ArtAsSolidarity and published in OppArt, The Nation Magazine

Andrea Arroyo



#giornatadelladonna #womensday2024 #women #giornatainternazionaledelladonna #womensrightsarehumanrights #ottomarzo #cartooning #cartooningforpeace

Marco de Angelis


Monireh Ahmadi
8 March 2024
Defiant
Today in International Women's Day.
https://cartoonmovement.com/cartoon/defiant


felice giorno delle donne
Firuz Kutal



Moise



#8marzo #8marzo2024 #ottomarzo #festadelledonne #giornatainternazionaledelladonna #dirittidelledonne #satira #satiraneurodeficiente #IChinson
Mario Airaghi



…. 8 marzo… contro il femminicidio e la violenza sulle donne!
Antonio Gallo



Mario Bochicchio



Vignetta d'archivio. "Old but gold".

Tomas 


Marilena Nardi per Domani



Tiziano Riverso




La femme idéale

Bernard Bouton 



8 mars : ménage de printemps

Bernard Bouton 



l'esse iniziale è invisibile agli occhi

Fabio Magnasciutti




GUERRERAS

Angel Boligan


venerdì 11 agosto 2023

Michela Murgia 1972 - 2023.

 

Ad una grande scrittrice

Che la terra ti sia lieve ...

GIO / Mariagrazia Quaranta


“Non ho paura di morire. Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite. Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera. Cose che non sapevo neppure di desiderare.

Ho ricordi preziosi.

Ricordatemi come vi pare. Non ho mai pensato di mostrarmi diversa da come sono per compiacere qualcuno. Anche a quelli che mi odiano credo di essere stata utile, per autodefinirsi. Me ne andrò piena di ricordi. Mi ritengo molto fortunata. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose. Non è vero che il mondo è brutto; dipende da quale mondo ti fai”.

Michela Murgia 

martedì 25 luglio 2023

«Tale Alain Elkann incontra i lanzichenecchi»

 Nei giorni scorsi è uscito a pagina 29 della Repubblica, nella sezione Cultura, un trafiletto firmato da Alain Elkann, padre dell’editore di Repubblica e presidente del gruppo Gedi. Il pezzo è un racconto, in prima persona, di un viaggio sul treno Roma-Foggia, che vede il giornalista “vittima” di quelli che lui stesso definisce “lanzichenecchi”, cioè giovani un po’ chiassosi che, evidentemente, infastidiscono per qualche ora il giornalista (?).

Il pezzo, che troverete in fondo al post, denota un classismo senza pari e una spocchia senza eguali e ha fatto saltare la mosca al naso anche al comitato di redazione di Repubblica (oltre che avere generato tantissimi meme), tanto che il comitato di redazione ha inviato una mail a colleghe e colleghi di Repubblica per prendere le distanze dai contenuti dello scritto.

“Questa mattina la redazione ha letto con grande perplessità un racconto pubblicato sulle pagine della Cultura del nostro giornale, a firma del padre dell’editore. Considerata la missione storica che si è data Repubblica sin dal primo editoriale di Eugenio Scalfari, missione confermata anche ultimamente nel nuovo piano editoriale dove si parla di un giornale ‘identitario’ vicino ai diritti dei più deboli, e forti anche delle reazioni raccolte e ricevute dalle colleghe e dai colleghi, ci dissociamo dai contenuti classisti contenuti nello scritto. Per i quali peraltro siamo oggetto di una valanga di commenti critici sui social che dequalificano il lavoro di tutte e tutti noi, imperniato su passione, impegno e uno sforzo di umiltà”.



Fabio Magnasciutti· 

ricordo ancora quella volta, sarà stato circa cinquecento anni fa, in cui mi trovai su un treno di ritorno dalla Germania verso Roma

allora c'erano ancora gli scompartimenti e il mio, oltre che da me, era occupato da cinque lanzichenecchi (ce n'erano ovunque su quella vettura)

faceva un gran caldo e, tosto, si liberarono di calzature, gambali, elmi e armature lasciando tutto dove capitava

spade e alabarde, appoggiate qua e là alla buona, non facevano che oscillare e scivolare, scivolare e oscillare

estrassi dal mio zaino un taccuino, la mia Bic nero china punta fine, una copia di Tiramolla, una di Soldino e una di Geppo ma soprattutto Ritorno a Forte Ontario, quarto e ultimo capitolo dell'avventura in Egitto del Comandante Mark

lo appoggiai con cura sui miei jeans neri che, rispettivamente, si trovavano sovrapposti alle mie mutande nere con la scritta "uomo" sull'elastico, sopra ai miei calzini neri lunghi e ai miei anfibi neri e, infine, sotto la mia camicia nera (non c'è alcun riferimento politico) sbottonata sul petto

ero intenzionato a ultimare la lettura di questo impegnativo volume ma, potete immaginare, i lanzichenecchi non facevano che parlare a voce alta in lanzichenecco, idioma che la mia (pur vasta) cultura non mi consente di comprendere

non mi consideravano proprio, un vero alieno ai loro occhi

insomma, sapete come sono questi giovani lanzichenecchi, la birra, i würstel eccetera

com'è, come non è, butto un occhio fuori dal finestrino (in senso figurato, s'intende) e leggo "Pavia"

non avevo idea che per calare a Roma si passasse per Pavia, comunque dico vabbè (tanto nessuno mi capiva) e il viaggio prosegue fino a Roma

non ricordo quanto durò ma credo un sacco




25 luglio 2023 - «Tale Alain Elkann incontra i lanzichenecchi». I giornalisti di Repubblica si dissociano dall’articolo del padre dell'editore.

© Milko Dalla Battista


C’era un tempo in cui Alain Elkann aveva una rubrica settimanale sulla Stampa, in quanto genero del proprietario. 

La leggenda vuole che i redattori lo mettessero crudelmente in pagina lasciando intatti i suoi svarioni grammaticali e ortografici, per vendicarsene silenziosamente.

Oggi invece Alain Elkann ha scritto su Repubblica, in quanto padre del proprietario. 

E offre il racconto, drammatico e toccante, di un suo viaggio in treno, da Roma a Foggia, su un Italo, in prima classe. 

L’Autore è infatti serenamente seduto accanto al finestrino, intenzionato a leggere Proust e il Financial Times, quando purtroppo si avvede che per il medesimo vagone hanno acquistato i biglietti anche alcuni adolescenti, vestiti da adolescenti con tanto di cappellini da baseball, mentre lui indossava un vestito di lino blu.

Questi giovinastri – si scopre scorrendo il pezzo - parlavano ad alta voce di calcio e ragazze, disturbando l’Autore, che pure aveva estratto la sua penna stilografica e il suo taccuino di riflessioni: ma in quel fastidioso vociare non riusciva a concentrarsi. 

Talvolta questi virgulti – uno dei quali con l’acne - nel loro parlare usavano addirittura termini vernacolari, financo scadendo nel turpiloquio, il che rendeva ancora più inaccettabile la situazione. 

Non solo. L'Autore rivela che quegli sgraditi compagni di viaggio non lo degnavano di uno sguardo: continuavano a parlare tra loro di calcio e ragazze, bevendo Coca Cola, benché avessero la fortuna di potersi confrontare su Proust con un gigante del pensiero come Elkann. 

Pensate che al termine del viaggio non lo hanno nemmeno salutato.

La misura era colma. 

Ma per fortuna, una volta giunto a destinazione, Elkann ha preso il telefonino e ha ordinato a Molinari di ospitare il suo sdegno.

Il mondo doveva sapere.

Alessandro Giglioli



Che mangino brioches!

#satira #comics #cartoons #alainelkann #lanzichenecchi
Olivieri


by Tiziano Riverso





MEDIA & REGIME
I giornalisti di Repubblica si dissociano dall’articolo di Alain Elkann (padre dell’editore): “Contenuti classisti”

di Alberto Marzocchi | 24 LUGLIO 2023
Sul treno per Foggia con i giovani “lanzichenecchi”. Si intitola così l’articolo firmato da Alain Elkann, uscito stamattina sulle pagine culturali de la Repubblica. Un racconto, in prima persona, sul treno Roma-Foggia, che vede il giornalista “vittima” di quelli che lui stesso definisce “lanzichenecchi”, cioè giovani un po’ chiassosi che, evidentemente, infastidiscono per qualche ora il padre dell’editore di Repubblica e presidente del gruppo Gedi. Il reportage (?), pubblicato a pagina 29, ha fatto saltare sulla sedia diversi giornalisti della testata, tanto che nel primo pomeriggio il cdr (comitato di redazione) ha inviato una mail, a colleghe e colleghi, per prendere le distanze dai contenuti dello scritto.

“Questa mattina la redazione ha letto con grande perplessità un racconto pubblicato sulle pagine della Cultura del nostro giornale, a firma del padre dell’editore. Considerata la missione storica che si è data Repubblica sin dal primo editoriale di Eugenio Scalfari, missione confermata anche ultimamente nel nuovo piano editoriale dove si parla di un giornale ‘identitario’ vicino ai diritti dei più deboli, e forti anche delle reazioni raccolte e ricevute dalle colleghe e dai colleghi, ci dissociamo dai contenuti classisti contenuti nello scritto. Per i quali peraltro – concludono nella nota – siamo oggetto di una valanga di commenti critici sui social che dequalificano il lavoro di tutte e tutti noi, imperniato su passione, impegno e uno sforzo di umiltà”.
Nell’articolo Alain Elkann, che ha “un vestito di lino blu e una camicia leggera” (in contrapposizione ai giovani sul treno, che hanno “t-shirt bianca e pantaloncini corti neri” e nessuno dei quali “porta l’orologio”) tira fuori dalla “cartella di cuoio marrone” la “mia penna stilografica”; ma anche i giornali (Financial Times, New York Times, ovviamente Repubblica) e la Recherche du temps perdu di Marcel Proust, di cui scrive alcune annotazioni. Chi è con lui nel vagone, invece, parla “di calcio, giocatori, partite, squadre, usando parolacce e un linguaggio privo di inibizioni“. Nessuno sembra prestargli attenzione e così “arrivando a Foggia, mi sono alzato, ho preso la mia cartella. Nessuno mi ha salutato, forse perché non mi vedevano e io non li ho salutati perché mi avevano dato fastidio quei giovani ‘lanzichenecchi’ senza nome”.

Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it


by le più belle frasi di Osho


Alain Elkann e la sua abissale distanza dalla realtà. Neanche Cechov si sentiva così superiore
Qualcuno sui social ha scritto, a proposito dell’articolo di Alain Elkann sui suoi incontri sull’Italo che lo portava a Foggia, “Repubblica in purezza”. Come fosse un Sangiovese (senza offesa per il Sangiovese). Sì, perché la vicenda del viaggio di Elkann, in una molto popolare carrozza di “Prima” – ma perché una persona della sua statura (e del suo reddito) non si è preso un più esclusivo Executive o addirittura un Salottino? – rivela l’ormai irreversibile sradicamento dalla realtà del giornale che, per dire, fu fondato da Eugenio Scalfari e poi diretto da Ezio Mauro.

Elkann ha incontrato, nella molto popolare carrozza di Prima, un gruppo di giovani che parlavano di calcio e di ragazze, vestiti in pantaloncini e t-shirt, mentre lui, in abito di lino e camicia leggera, era infastidito da questi “lanzichenecchi” che non gli lasciavano sfogliare in pace il New York Times, il Financial Times e La Recherche di Proust. Ora, Repubblica fu il giornale dove le inquietudini dei giovani degli anni Settanta erano raccontate (e vissute) da quell’altro giovane, giornalista in purezza, lui sì, che era Carlo Rivolta. E’ vero che il comitato di redazione si è dissociato dai “contenuti classisti” del pezzo del padre del proprietario del giornale. Ma il senso di abissale distanza dalla realtà rivelato da questa improvvida sortita resta.

Ho pensato a come si poteva commentare il pezzo di Elkann senza cadere nel banale. Mi è venuto in mente, chissà perché, un altro antico giornalista di Repubblica: si chiamava Beniamino Placido. Era un piacere sentirlo e leggerlo, l’ho seguito per tanti anni. Ha fatto, tra l’altro, il critico televisivo per otto anni. L’ha fatto con lo spirito giusto, di chi guarda la televisione per dovere di giornalista e senza sussiego. In questo, racconta lui in un bel libro che si chiama La televisione col cagnolino, l’ha aiutato Cechov. Che c’entra Cechov con Placido, e soprattutto con Alain Elkann?

“Siamo nel 2023 e ancora facciamo viaggiare Alain Elkann sui treni con i poveri ma che ca**o di paese siamo?”, “La prima classe pullula di popolani”: le reazioni social all’articolo dello scrittore
C’entra. Perché, dice Placido per spiegare il curioso titolo di quel libro, c’è un racconto di Cechov che si chiama La signora col cagnolino. In quel racconto c’è tutto Cechov, il quale – e qui lascio la parola a Placido – “non si crede superiore a nessuno. Nemmeno alle signore scontente – perché malmaritate – della borghesia russa del suo tempo (e di chissà quanti altri tempi). Nemmeno alle malmaritate che vanno a Jalta in vacanza, col loro cagnolino”. Cechov, continua Placido, “non riesce a sentirsi superiore agli altri esseri umani. E’ questo che fa la sua superiorità, come scrittore”.

Non solo Cechov non si sente superiore, ma non ci fa sentire nemmeno noi superiori al mondo che descrive. La signora va a Jalta e incontra qualcuno. Ma Cechov non ci fa sentire superiori “al rozzo burocrate che lei lì, a Jalta, incontra. Non ai contadini, agli impiegati, alle donnette, agli ometti, ai militari, ai borghesi che descrive”. E qui Placido fa il triplo salto mortale, il pezzo di bravura che lo riporta al suo tema, la televisione, senza sussiego: “E’ proprio sicuro che siamo così diversi da, così superiori a loro, solo perché non guardiamo la televisione, o diciamo di non guardarla?” Chissà cosa avrebbe scritto Placido di Elkann, oggi. Ce lo vedo: è proprio sicuro che siamo così diversi da quei ragazzi solo perché diciamo di non parlare di calcio e ragazze?

Forse Placido, quando descriveva il racconto di Cechov della signora col cagnolino, e la semplicità del suo linguaggio, stava vedendo in una palla di vetro Alain Elkann in viaggio verso Foggia. E forse lesse in anticipo di trent’anni (il libro di Placido è del 1993) l’articolo dello stesso Elkann su Repubblica per usarlo come controesempio mentale di come non descrivere gli altri che si incontrano. Siano signore malmaritate in vacanza a Jalta, siano contadini, impiegati o rozzi burocrati. O siano ragazzi che in treno parlano di calcio e di ragazze.



By Portos / Franco Portinari

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L'articolo:





SUL TRENO PER FOGGIA CON I GIOVANI «LANZICHENECCHI»
di Alain Elkann
Non pensavo che si potesse ancora adoperare la parola “lanzichenecchi” eppure mi sbagliavo. Qualche giorno fa, dovendo andare da Roma a Foggia, sono salito su una carrozza di prima classe di un treno Italo. Il mio posto assegnato era accanto al finestrino e vicino a me sedeva un ragazzo che avrà avuto 16 o 17 anni. 
T-shirt bianca con una scritta colorata, pantaloncini corti neri, scarpe da ginnastica di marca Nike, capelli biondi tagliati corti, uno zainetto verde. E l’iPhone con cuffia per ascoltare musica. Intorno a noi, nelle file dietro e in quelle davanti, sedevano altri ragazzi della stessa età, vestiti più o meno allo stesso modo: tutti con un iPhone in mano. Alcuni avevano in testa il classico cappello di tela con visiera da giocatore di baseball di colori diversi, prevalentemente neri, e avevano tutti o le braccia o le gambe o il collo con tatuaggi piuttosto grandi. Nessuno portava l’orologio. 
Io indossavo, malgrado il caldo, un vestito molto stazzonato di lino blu e una camicia leggera. Avevo una cartella di cuoio marrone dalla quale ho estratto i giornali: il Financial Times del weekend, New York Times e Robinson, il supplemento culturale di Repubblica. Stavo anche finendo di leggere il secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust e in particolare il capitolo “Sodoma e Gomorra”. Ho estratto anche un quaderno su cui scrivo il diario con la mia penna stilografica. 
Mentre facevo quello, i ragazzi parlavano ad alta voce come fossero i padroni del vagone, assolutamente incuranti di chi stava attorno. Parlavano di calcio, di giocatori, di partite, di squadre, usando parolacce e un linguaggio privo di inibizioni. 
Intanto il treno, era arrivato a Caserta. Non sapevo che per andare da Roma a Foggia si dovesse passare da Caserta e poi da Benevento. Pensavo di aver sbagliato treno, ma invece è così. Non ho mai rivolto la parola al mio vicino che o taceva ascoltando musica o si intrometteva con il medesimo linguaggio nella conversazione degli altri ragazzi. 
A un certo punto, poco dopo Benevento, mentre erano sempre seduti o quasi sdraiati ai loro posti, ammassando nei vari cestini per la carta straccia lattine di Coca Cola o tè freddo, uno di loro ha detto: «Non è che dobbiamo stare soli di sera: andiamo a cercare ragazze nei night». 
Un altro ragazzo più piccolo di statura e con il viso leggermente coperto di acne giovanile ha detto: «Macché night! Credetemi, ho esperienza. Bisogna beccare le ragazze in spiaggia e poi la sera portarle fuori e provarci. La spiaggia è il posto più figo e sicuro per beccare». 
Quella conversazione sulle donne da trovare era andata avanti mentre io avevo finito di scrivere sul mio quaderno ed ero immerso nella lettura di Proust. Loro erano totalmente indifferenti a me, alla mia persona, come se fossi un’entità trasparente, un altro mondo. 
Io mi sono domandato se era il caso di iniziare a parlare col mio vicino, ma non l’ho fatto. Lui era la maggioranza, uno nessuno centomila, io ero inesistente: qualcuno che usava carta e penna, che leggeva giornali in inglese e poi un libro in francese con la giacca e i pantaloni lunghi. 
Per loro chi era costui? 
Un signore con i capelli bianchi, una sorta di marziano che veniva da un altro mondo e che non li interessava. Pensavano ai fatti loro, parlavano forte, dicevano parolacce, si muovevano in continuazione, ma nessuno degli altri passeggeri diceva nulla. 
Avevano paura di quei ragazzi tatuati che venivano dal nord, lo si capiva dall’accento, o erano abituati a quel genere di comportamento? 
Arrivando a Foggia, mi sono alzato, ho preso la mia cartella. Nessuno mi ha salutato, forse perché non mi vedevano e io non li ho salutati perché mi avevano dato fastidio quei giovani “lanzichenecchi” senza nome.



martedì 27 giugno 2023

Addio Silvio: la satira, grata, ti saluta! (Seconda parte)

 


By Riccardo Mannelli


B

Makkox


Camera ardente

Pillinini



La Repubblica del Banana. Silvio #Berlusconi è morto a 86 anni: capo di 4 governi, pregiudicato per frode fiscale, finanziatore della mafia e 9 volte prescritto. Le tv lo beatificano, domani funerali di Stato e pure lutto nazionale #funeralidistato #luttonazionale

Christian Durando




Berlusconi 

Valerio Marini



Berlusconi siamo noi #berlusconi #mafia #corruzione #beatificazione #fascismo #razzismo #italia

Paolo Lombardi


#Berlusconi #lutto #dudu
Tartarotti


don't you forget about me
Magnasciutti



Mike Comics



ROBA PASSATA
In effetti la vita del paese l'ha cambiata radicalmente.  
Decisamente in peggio.  
Ha rimbambito generazioni di italiettani 
con insulsi programmi televisivi fatti di volgarità, 
aggressioni verbali e ignoranza, riducendo poi 
anche il servizio pubblico a tale livello.
Ha sdoganato la prostituzione minorile e 
trascinato il paese nel ridicolo grazie agli infantili 
cucù alla Merkel e corna nelle foto di gruppo nei G8, 
per non parlare dei procedimenti penali decaduti 
per prescrizione "grazie" alle sue stesse leggi.
Parlare della vita di un pregiudicato come fosse quella di un santo 
è infamante nei confronti di tanta gente che ha vissuto 
un'esistenza per il bene e la crescita morale e culturale 
della collettività, pagando spesso con la vita 
scelte di altissimo profilo.
Roberto Mangosi





14 giugno 2023 - Ci piace ricordarlo così.

© Milko Dalla Battista



By Mario Bochicchio


Lutto e omaggio nella Repubblica del Banana

"Ahi, povera Italia ridotta in schiavitù, dimora di sofferenza, nave alla deriva nel pieno della tempesta, non più signora dei popoli, ma luogo di prostituzione!"
Puglia Paride


Io non dimentico, non perdono: non posso

"Io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo. Il male che l'uomo fa vive oltre di lui, il bene sovente, rimane sepolto con le sue ossa...e sia così di Cesare."(da Giulio Cesare di W. Sheskspare)
Paride Puglia


"E questo è tutto gente".
Gianni Fioretti

Luca Ricciarelli




By Vanessi



By Riccardo Mannelli


By Riccardo Mannelli


La satira ringrazia
Tiziano Riverso


venerdì 27 gennaio 2023

Giornata della memoria 2023




#Atlantide #giornatadellamemoria #edithbruck 

 Per Edith. 

Mauro Biani





Per #Atlantide @La7tv

per la #GiornatadellaMemoria un documentario esclusivo – presentato da Andrea Purgatori- dal titolo “Edith”. La storia della scrittrice e poetessa sopravvissuta all’olocausto e alla deportazione nei campi di concentramento #EdithBruck

Mauro Biani




Edith Bruck e la memoria: "Il nostro grido ci sopravviverà"

La poetessa non concorda con Segre: non finisce tutto con noi

  Anni e anni di ricordi, racconti, diari, libri, in poche parole testimonianze: Liliana Segre avanza negli anni e con lei avanza anche un intimo timore, quello dell'oblio.

Non tanto sulle singole vite, sulle tragiche storie personali, quanto sulla capacità stessa delle nuove generazioni di tenere vivo il ricordo della Shoah, della guerra, delle vittime dell'olocausto.

Un approccio contestato da Edith Bruck, scrittrice e poetessa di origini ungheresi naturalizzata italiana, sopravvissuta all'olocausto e alla deportazione nei campi di Auschwitz, Dachau e Bergen- Belsen.

    "Ho sentito Liliana quando ha detto che con noi finisce tutto, che non ha speranza che rimanga molto della memoria e mi è dispiaciuto molto sentire questa cosa. Io credo che resti qualcosa, che la nostra testimonianza, i nostri libri, i nostri versi, il nostro gridare, i nostri pianti non siano stati inutili. Non per noi, ma proprio per i giovani, per il futuro dei giovani, per un mondo minimamente migliore, sarebbe molto grave se fosse stato vano tutto quello che abbiamo detto, tutto quello che abbiamo scritto e tutto quello che è successo, se sarà dimenticato. Io spero che resti qualcosa" dice la scrittrice intervistata da Sky Tg 24.

    E proprio l'intellettuale ungherese è anche al centro di un documentario esclusivo realizzato da Andrea Purgatori con 3D Produzioni in collaborazione con n La7 in occasione della Giornata della Memoria, proprio per non dimenticare gli orrori della Shoah. Si apre con Edith Bruck intenta a guardare un vecchio documentario ungherese, "A Látogatas", che in italiano significa "La visita". È lei sullo schermo, più giovane, nel 1982, tornata in Ungheria per rivedere la casa dove è nata e dove venne catturata. Attraverso queste immagini, inedite in Italia, compare il ritratto di una donna capace di continuare a vivere e amare e che non tralascia nulla della sua storia: dal Lager all'amore infinito per il poeta Nelo Risi, fino alla scrittura che le ha permesso di continuare a vivere. Tutto disegnato alla luce dell'oggi, nella casa di Via del Babuino dove abita da 62 anni, circondata dai colori e dai rumori della Roma "eterna", come la definisce Edith, quella che ormai è diventata la sua patria, "tra piazza del Popolo e piazza di Spagna". 

fonte ; https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/2023/01/25/edith-bruck-e-la-memoria-il-nostro-grido-ci-sopravvivera_683e74a9-987b-461e-8c73-4a09e1fae0e4.html




#Giornodellamemoria

Quella riga sia memoria viva.

Oggi su la Repubblica

Mauro Biani


Generazioni, per non dimenticare, mai !!
Paolo Lombardi



Domani non è per tutti

Tiziano Riverso


International #Holocaust #RemembranceDay. We have to learn from the #history. 78 years ago, on January 27, 1945. #RedArmy entered Nazi #ConcentrationCamps in #Auschwitz..

27 Ocak Uluslararası Dünya Holokost’u Anma Günü. Bizde Dünya utanç günü de deniyor. 78 yıl önce, 27 ocak 1945'de #KızılOrdu Nazi #ToplamaKampı #Auschwitz 'e girdiğinde karşılaştığı manzara bugün de tarihte olanı unutmamamız için vesile olsun..
Firuz Kutal

Memoria

Oggi su @ilmanifesto

Lele Corvi

#memoria #giornatamemoria #nondimentichiamo #ilmanifesto #lelecorvi


Memoria

Memory

#memory #memorialday #giornatadellamemoria #Shoah #razzismo #Jews #memoria #CartooningForPeace #courrierinternational #repubblicaxl #LaRepubblica #pagina21 #vignettistiperlacostituzione

Marco De Angelis




GIORNO DELLA MEMORIA 2023

Gianfranco Uber



Il filo della memoria

GIO / Mariagrazia Quaranta



by Roby Il Pettirosso




Per non dimenticare #GiornatadellaMemoria #Giornodellamemoria2023 #27gennaio

Durando




#ZyklonB #Zyklon #Shoah #27gennaio #Giornodellamemoria #olocausto #Auschwitz #Binario21 #pernondimenticare #IChinson #satira #satiraneurodeficiente #vignette
Mario Airaghi



Bambini col pigiama a righe

Giannelli




Giorno della Memoria.

Milo Manara


Giorno della memoria 2023. Per @sputnink_
Nicocomix 
#giornodellamemoria #olocausto


Giornata della Memoria 2023. Ecco il mio disegno per il 27 gennaio. "Memoria di libertà" by ©️Chenzo, www.chenzoart.it #giornatadellamemoria #Shoah #olocausto #MemoriaStorica #ebrei #disegni #vignette #27gennaio #chenzo

 Lorenzo Bolzani - Chenzo.



Il Giorno della Memoria.

Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche della 60ª Armata arrivarono presso la città polacca di Auschwitz, scoprendo il vicino campo di concentramento e liberandone i superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazista.

Ad Auschwitz, circa dieci giorni prima, i nazisti si erano ritirati portando con loro, in una marcia della morte, tutti i prigionieri sani, molti dei quali morirono durante la marcia stessa.

L’apertura dei cancelli di #Auschwitz mostrò al mondo intero non solo molti testimoni della tragedia, ma anche gli strumenti di tortura e di annientamento utilizzati in quel lager nazista. (fonte Wikipedia)

#ilgiornodellamemoria #olocausto 

Tartarotti



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-AUSCHWITZ, IN POSA PER MORIRE

di Alessandro Melazzini

Il fotografo polacco Wilhelm Brasse rifiutò di battersi per Hitler e fu internato nel lager. La sua professione lo salvò, ma fu obbligato a scatti atroci. Oggi racconta l'impotenza di allora - «Una volta venne un marinaio con tatuato il paradiso. Tempo dopo vidi la sua pelle conciata, serviva per coprire un libro» 

Ha guardato negli occhi la morte. L'ha fatto per cinquantamila volte. Avvene quando era giovane. Ora Wilhelm Brasse è un anziano signore dal sorriso affettuoso e i modi gentili. Mi accoglie sulla soglia della sua modesta casetta nei pressi della cittadina polacca di Zywiec. Un tempo questa era la regione della Slesia, dove ebrei, polacchi e tedeschi convivevano in un intreccio pacifico di lingue e culture sotto la dinastia degli Asburgo. Wilhelm nacque loro suddito nel dicembre di 92 anni fa. Poi venne la grande crisi del '29, il padre perse il lavoro e suo figlio non poté finire il ginnasio. La madre lo iscrisse a un corso di fotografia e senza saperlo gli salvò la vita. Nel 1939 la Germania invase la Polonia e Wilhelm dovette compiere una scelta fatale. Diventare cittadino del Terzo Reich o rimanere polacco. Optò per la sua patria e cominciarono le vessazioni. Tentò allora la fuga attraverso il confine con l'Ucraina, ma venne tradito e consegnato ai nazisti. Era la Pasqua del 1940. Passarono quattro mesi di cella, poi dai soldati tedeschi venne un'ultima possibilità. Arruolarsi nella Wehrmacht o essere trasferito in una prigione sconosciuta. Wilhelm scelse di non combattere per le armate di Hitler e nella notte un treno lo portò ad Auschwitz.

«Picchiandoci con urla selvagge i kapò e le SS ci fecero scendere, ci tolsero i vestiti e ci diedero una divisa a strisce. Da quel giorno diventai un numero, il 3444». Quando Wilhelm arrivò nel lager tutto era ancora in costruzione, ma sul piazzale dell'appello il vicecomandante Karl Fritzsch chiarì subito ai prigionieri cosa li aspettava. «Questo non è un sanatorio. Questo è un campo di concentramento. Qui un ebreo vive due settimane, un pretaccio dura un mese, gli altri prigionieri tre». Aveva detto la verità. «All'inizio venni assegnato al comando costruzione strade. Il primo giorno il kapò uccise con un bastone 4 o 5 prigionieri senza motivo. Era così violento che cercai un altro lavoro». Agli inizi nel lager era ancora possibile muoversi con una certa libertà. «Chiesero se qualcuno voleva un'occupazione leggera con cibo extra, io mi presentai subito. Venni assegnato al trasporto cadaveri. Trascinavo un carretto pieno di salme fino al crematorio. Il lavoro era facile, ma non ce la feci a resistere, cambiai ancora finendo in un comando guidato da un kapò tedesco che finalmente non urlava né picchiava». 

Brasse ancora oggi ricorda tutti i nomi delle persone conosciute nel lager. Il kapò si chiamava Markus e portava un triangolo nero sulla divisa: per i nazisti era un «asociale». Perso il lavoro si era arruolato dieci anni nella legione straniera, tornato in patria venne subito arrestato. «Gli feci da traduttore, poi grazie a lui passai nelle cucine a trasportare pentoloni, infine nel febbraio del '41 superai una prova come fotografo e venni assegnato al reparto di polizia». 

Da quel momento e per quattro anni Wilhelm fotografò migliaia di deportati come lui. Per ognuno tre scatti, di fronte, di lato e con il cappello. «Ma non i prigionieri con gli occhi pesti o segni di maltrattamento. Quelli dovevano tornare più tardi, anche se quasi tutti venivano uccisi prima». Talvolta accadeva per il semplice diletto di un sorvegliante sadico, come Krankenmann, il detenuto più brutale del campo, che rubava il cibo alle sue vittime dopo averle strangolate con le proprie mani. «Uccideva gli uomini come le mosche. Era grasso come un maiale e si divertiva a sedersi sui prigionieri più magri spezzando loro la colonna vertebrale». Wilhelm fu fortunato, Bernhard Walter, l'SS che comandava il suo reparto, non era un fanatico come gli altri: nelle braccia di Hitler era finito per scampare a un'esistenza da stuccatore disoccupato. Wilhelm poteva vivere al caldo, mentre vedeva i suoi compagni strisciare nella pioggia e nella neve. Ma anche la sua occupazione non lo preservò dagli orrori di Auschwitz. «Un giorno riconobbi nella fila del corridoio alcuni miei vicini di casa ebrei. Diedi loro delle sigarette e un pezzo di pane, anche se era vietato». La voce dell'anziano sopravvissuto s'incrina. «Nel mio gruppo c'era un kapò. Triangolo verde: un comune assassino, ma con lui si poteva parlare. Gli implorai che se doveva ucciderli, almeno lo facesse senza farli soffrire». Il giorno dopo erano tutti morti. «Riesce a capire cosa significa pregare qualcuno perché conceda una morte lieve?» mi chiede Brasse con le lacrime agli occhi. Cosa posso rispondere a un uomo che ha visto l'inferno? Lo prego di raccontarmi ancora.

Ogni giorno fotografava dai 50 ai 150 deportati. Se qualcuno aveva dei tatuaggi, il medico del campo li voleva ripresi nel dettaglio. «Una volta si presentò un marinaio di Danzica. Alto, muscoloso, ben formato. Sulla schiena aveva tatuato il Paradiso con Adamo, Eva e il serpente. In due colori, rosso e blu. Lo ricordo tutt'ora: davvero l'opera di un maestro. Dopo un mese un amico mi chiamò dal crematorio. E cosa vidi? In fondo a un tavolo la pelle della schiena di quello sfortunato, tesa e pronta per essere conciata. A cosa serviva, chiesi scioccato? Per rilegare un libro, fu la risposta». 

Presto a Wilhelm venne ordinato di non fare più foto agli ebrei: secondo la direzione del lager non ne valeva la pena, tanto morivano sempre più in fretta. «Alla fine dell'autunno del 1941 giunsero 11mila prigionieri di guerra russi. Vennero ammazzati in maniera orribile, lasciati congelare nudi nella neve, mentre delle SS con le maschere a gas lavoravano intorno al blocco 11 per isolarlo. Quando tutto fu pronto, vi mandarono dentro i 600 soldati russi sopravvissuti, insieme a 400 malati». Fu il collaudo, perfettamente riuscito, per testare l'efficacia dello Zyklon B. Ma il crematorio di Auschwitz era troppo piccolo per tutti quei cadaveri, così nel vicino lager di Birkenau ne vennero edificati altri due, dotati di camere a gas. Stavano a poca distanza dai binari del treno, così da rendere più comodo l'assassinio di massa. Alcune SS scattarono sequenze fotografiche durante le varie tappe della soluzione finale. L'arrivo del treno, le selezioni, lo spoglio degli averi, la camera a gas, i corpi ridotti in cenere. «Venni incaricato di sviluppare le foto e ordinarle in un album: volevano tenerlo come ricordo».

Uomini, donne e bambini. Brasse doveva riprendere degli indifesi come fossero criminali. «Non dimenticherò mai questa povera ragazzina – mi dice mostrandomi la foto di un'adolescente con un foulard in testa –. Una sorvegliante le ordinò di toglierlo, ma la poveretta non capiva il tedesco. La donna s'infuriò e prese a frustarla sulla faccia. Dio mio, quale crimine poteva avere commesso quella piccolina per meritare un trattamento simile?». A parte i continui insulti, con lui i guardiani nazisti erano generalmente cortesi e talvolta in cambio di propri ritratti da spedire all'amata gli concedevano del cibo extra. Tra le SS più educate, un giovane medico che gli richiese delle riprese speciali. Foto di donne ebree nude. «Fu imbarazzante, pregai le custodi di mettere quelle povere ragazze in posa, io non volevo sfiorarle. Ma rifiutare di fotografarle non mi era concesso, pena la vita. Quando chiesi a cosa servivano quegli scatti, mi dissero: per degli esperimenti». Il dottore si chiamava Josef Mengele. «Per lui fotografai anche vari nani e dei gemelli. Ogni volta che aveva bisogno, me lo chiedeva con la massima gentilezza. Mengele fu la persona più terribile che incontrai. Krankenmann? Quello era una bestia. Ma come poteva Mengele comportarsi così educatamente con me e nello stesso tempo mandare in un sol giorno mille o duemila ebrei nelle camere a gas? Era una doppia natura. Ancora oggi quell'uomo è per me un mistero». 

Altri medici gli ordinavano invece di fotografare ragazzini denutriti o l'utero estratto da donne addormentate col sedativo; per un certo periodo collaborò anche con un disegnatore impegnato a falsificare dollari. Ma la foto più incredibile scattata da Brasse ad Auschwitz ritrae una coppia di sposi. «Le nozze del mio amico Rudi Friemel. Era un meccanico bravissimo. I tedeschi avevano bisogno di lui per riparare i motori diesel e gli concedettero persino di portare i capelli lunghi. Con il permesso di Himmler nella primavera del '44 la sua fidanzata spagnola poté raggiungerlo col figlio ad Auschwitz, e qui sposarsi». Qualche mese più tardi Rudi venne preso durante un tentativo di fuga e impiccato seminudo.

Nel gennaio del 1945 le SS sentirono avvicinarsi l'Armata Rossa. Il capo ordinò a Wilhelm di bruciare tutto, ma questi riuscì a salvare molte foto perché i negativi erano ignifughi. Pochi giorni prima della liberazione lo trasportarono prima a Mauthausen, poi nel lager austriaco di Melk. «Il paesaggio era bellissimo, vicino al Danubio. Producevano cuscinetti a sfera in una fabbrica sotterranea ma io dovetti lavorare con pala e badile all'aperto. Dopo due mesi ero ridotto a pelle e ossa. Fu allora che, distrutto, maledii mia madre per avermi partorito». 

Nuovamente le lacrime scorrono sul viso di questo vecchio sopravvissuto all'orrore. «Invece gli americani mi liberarono. Ancora oggi mi pento di quello che dissi contro mia mamma».

(Il Sole 24 Ore – Domenica 24 giugno 2009 n. 162)

POST SCRIPTUM di Ivano Sartori 

È probabile che riusciate a leggere questo pezzo, ma non vediate qualcuna delle foto che lo corredano. La censura Facebook è tale da ignorare le verità della storia. Ed è un peccato, considerato che Mark Zuckerber discende da una famiglia di origine ebraica. Comunque vada, gli algoritmi kapò non potranno eliminare la testimonianza scritta, molto più potente di qualsiasi immagine.




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